La costruzione di un ricordo
(no, non spezza le vene delle mani, ma non ci andiamo lontani)
Stamani, appena alzato, sono uscito di camera e ho pensato: “nel mondo esterno c’è odore di caffè”.
Ripensato, in verità. Ricordo bene la prima volta in cui capitò: stessa sequenza, medesime parole… riferite però immediatamente - quale grande notizia! -, tornando su quei pochi passi e riaffacciandomi alla porta di camera.
Il fatto è che vorremmo tutti una time machine.
No, d’accordo, il fatto non è quello, per quanto vero…
Il fatto è che ci sono persone - e io, manco a dirlo, ne faccio parte - che vivono spesso il presente costruendone contemporaneamente le strade per il ricordo.
Non parlo di foto, video, registrazioni. Per quanto, suppongo, anche quelli siano una manifestazione della stessa propensione, a volte. No, sarà la mia condizione, sarà il pensare troppo, ma non parlo di niente di esterno, sensibile, tangibile. Così facilmente controllabile come l’atto di aprire un album di foto.
Non so se riesco a spiegarmi. E’ come se, nel presente, fossimo già proiettati a un momento futuro, in cui ricorderemo quel che ci sta succedendo adesso. E’ una visione esterna, come in alcune esperienze di OOBE; un’istantanea mentale che non conserva soltanto elementi visibili. Appena fissata eppure già intenta ad ancorare viticci lungo lo spaziotempo.
Chissà se P.K. Dick pensava a questo, quando scrisse quel meraviglioso racconto che è “A world of talent”.
Il risultato pratico di tanta elaborazione… be’, è che si può provare malinconia per un ricordo del presente, mentre lo si sta vivendo. Una cosa che, va da sé, non aiuta, non aiuta affatto. Anche perché ricordare, tolta la componente temporale, porta spesso a un confronto, a un riscontro di differenze… o a un’aritmetica dell’assenza, come scriveva Gibson.
Parliamo di memoria, alla fine. Se da un lato quella collettiva, storica, non è mai abbastanza, quella personale è spesso, viceversa, eccessiva, invadente. “Dio benedica la cattiva memoria”, mi è capitato di pensare a volte, riferito alla seconda. E lo scrive anche Maggiani, ne “Il coraggio del pettirosso”:
“Avere troppa memoria non fa star bene nessuno. Si diventa malinconici. E si diventa vecchi troppo presto. Lì per lì può sembrare che i ricordi servano a qualcosa, ma non è vero. In definitiva fanno solo danni. Ti consumano dal di dentro, come la silicosi dei picchettini del porto. Ti sembra di star bene fino a che una mattina ti alzi e ti accorgi di non avere più neanche un tocchetto di polmone: dentro sei tutto una polvere di pietra. È così.”
Com’è ovvio, il libro è poi qualcosa di molto simile al ricordo di un’altra vita, nel lontano passato. Perché, è inevitabile, c’è spesso una struggente bellezza in tutto questo.
E, a volte, pure un buon profumo di caffè.
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