Il prezzo della lettura
(no, non dei libri)
Credo che a tutti, lettori forti o meno, sia capitato, almeno una volta, di immedesimarsi moltissimo in alcuni personaggi. Nella gioia, nel dolore, nella beatitudine di un innamoramento, nello spaesamento davanti a continui imprevisti, nella frenesia dell’azione…
Questo è sano, e giusto.
Non fraintendetemi, non la sto prendendo alla leggera. Ci sono stati libri, rari e preziosi, che una volta finiti mi hanno lasciato per un pezzo con una nostalgia fortissima, la sensazione di aver perduto l’accesso a un’altra vita, ormai terminata, di aver salutato per sempre degli amici. Non erano neppure storie tristi, figurarsi altrimenti. E ancora quella sensazione unica di risveglio, della mente che ritorna da una sospensione del tempo e del sé… che soltanto alcune letture, e in particolari circostanze, sanno regalare.
Si dice che un lettore viva molte più vite oltre la propria, e ne sono sempre stato convinto anch’io: l’immedesimazione, la compassione - nel senso più etimologico/partecipativo del termine -, il muoversi in realtà storiche o geografiche non altrimenti così a portata di mano… tutto questo arricchisce in modi incalcolabili, per chi sa farne tesoro.
Ma può avere un prezzo.
Può succedere di trovarsi in particolari situazioni di immobilità: una lungodegenza, un’ingessatura per mesi, una disabilità… ebbene sì, una quarantena. Non illudetevi però, non parlo solo di immobilità fisica. Momenti in cui la vita è in pausa, e tutto è lontano, al di là della nostra portata, e noi siamo, per così dire, alla finestra, sempre e solo spettatori.
Leggere, in una tale condizione, di tutto ciò che sentiamo esserci precluso, irraggiungibile, negato… non resta soltanto un modo per farne esperienza, per quanto indiretta. No. Diventa, molto facilmente, uno strazio.
Basta poco, pochissimo: un dettaglio, un gesto, un’espressione inattesa, anche irrilevanti per la storia… ed ecco che, se la sospensione del sé non è perfetta, questo ci rimbalza indietro alla condizione di malessere o dolore da cui magari cercavamo rifugio. Ho chiuso di colpo più d’un libro, così. E poi l’ho continuato, pressato di nuovo dall’annaspare nel niente.
Le riletture sono meno spietate in questo, è vero. Ma bisogna aver buona memoria, per scegliere con cura. E a volte, per l’inarrestabile intrecciarsi dei pensieri, feriranno comunque, in nuovi modi che non avevamo saputo prevedere. Ho vissuto per mesi ciclando e riciclando fra libri-rifugio, e di quando in quando succede ancora.
L’intensità è variabile, ovviamente. A volte è una puntura, a volte una coltellata. A volte, be’, qualcosa che tenta di arrampicarsi fuori, artigliando fra lo sterno e la gola; questo, di solito, dura di più.
Oh, possono volerci anni, prima che inizi a pesare. Ma, nel caso, e più che mai se di un’esperienza avremo soltanto ricordi di parole lette, ricordi di carta… il tempo occorso per arrivarci potrebbe non essere di consolazione, tutt’altro.
Beninteso, vi parlo dei libri perché è la realtà che conosco meglio. Succede anche con le canzoni, i film… dannazione, può succedere con qualsiasi realtà immersiva, suppongo. A differenza di altre, però, penso che i libri rappresentino un caso particolare perché, senza uno sforzo attivo (che richiede energia), non portano avanti la loro storia indipendentemente, come invece può avvenire per un film in TV, guardato distrattamente, senza che la mente ci si soffermi davvero. Anche se poi basta un audiolibro per invalidare questa considerazione.
No, il perché maggiore è un altro, in realtà.
Si dice che un lettore viva molte più vite oltre la propria, certo. Ma ci si dimentica - o, almeno, io non ne ho mai sentito (e perciò ve ne parlo) - quanto può essere doloroso che arrivi a vivere soltanto queste molte, e non la sua. Doloroso e vitale.
E questo, no, non è né sano, né giusto. Ma a volte non c’è altro.
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